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Itaca blog
24 Giugno 2025

Comorbilità di più patologie

La complessità della mente e la difficoltà della diagnosi

Quando si parla di disturbi mentali, troppo spesso si pensa a un solo “problema” per volta. Una persona è depressa, oppure ha l’ansia, oppure è autistica, oppure ha il disturbo bipolare. Ma la realtà è molto più complessa: molte persone possono convivere con più disturbi contemporaneamente, una condizione che viene chiamata comorbilità.

La comorbilità è qualcosa di molto comune, ma ancora poco conosciuta e poco compresa. Significa che in una stessa persona possono coesistere due o più patologie diverse, che si influenzano tra loro e si intrecciano nel modo in cui quella persona vive, pensa, sente ed entra in relazione con il mondo.

Alcuni esempi concreti di comorbilità: Una persona nello spettro autistico può soffrire anche di disturbo borderline e/o post traumatico.

Il disturbo schizoaffettivo (combinazione intrinseca di disturbi psicotici e dell’umore) è già di per sé una forma di comorbilità tra due quadri gravi. Il disturbo da accumulo (hoarding) più depressione o DOC (disturbo ossessivo compulsivo) è il comportamento di accumulare che può avere radici ossessive, ma anche depressive o ansiose.

Schizofrenia più depressione post-psicotica dopo un episodio psicotico, avviene quando molte persone entrano in una fase depressiva intensa.

Il disturbo bipolare e il disturbo borderline di personalità spesso vengono confusi, ma possono coesistere, il bipolare ha cicli più lunghi, il borderline instabilità giornaliera, insieme rendono il quadro molto complesso.

Tra vari problemi le comorbilità possono confondere le diagnosi sul paziente, soprattutto se il medico si concentra su un solo disturbo alla volta. Altre volte possono risaltare maggiormente solo alcune sintomatologie facendo rimanere nascoste o meno evidenti le altre patologie in comorbilità.

A volte, dietro un’apparente depressione si nasconde un disturbo del neurosviluppo mai riconosciuto. Oppure dietro un’ansia sociale si nasconde una forte ipersensibilità emotiva o un vissuto traumatico.

Le diagnosi parziali o sbagliate possono portare a cure che non funzionano o addirittura danneggiare e peggiorare situazioni e condizioni di salute.

Ogni disturbo influenza l’altro, così quando ne convivono due o più non lo fanno in modo separato, si influenzano, si sommano, a volte si contraddicono, altre volte si alimentano a vicenda.

Un’ansia cronica può aggravare la depressione. L’impulsività dell’ADHD può aumentare i conflitti in una persona borderline. Un trauma mai elaborato può rendere instabili anche i miglioramenti di una terapia.

Capire queste interazioni è fondamentale per aiutare davvero una persona nel suo percorso. Non si può guardare solo la “diagnosi su carta”, ma piuttosto bisognerebbe guardare tutta la persona e le situazioni che vive.

Un altro punto importante da ricordare è che siamo più della nostra diagnosi, ognuno di noi è unico, due persone con lo stesso disturbo non sono uguali.

C’è chi riesce a vivere bene con il proprio disturbo, trovando strategie personali e relazioni sane. C’è chi invece è più fragile, ha avuto meno supporto, ha vissuto esperienze difficili o che vive con situazioni e condizioni più pesanti e aggravate. Le diagnosi aiutano a comprendere alcune cose, ma non devono diventare etichette che ci definiscono completamente.

 

Non esistono “malati di serie A” o “di serie B” e nessuna persona può essere ridotta solo ai suoi problemi.

Voglio portare all’attenzione una realtà che spesso viene ignorata: la complessità della mente umana.

Molti di noi convivono con più patologie e spesso si sentono incompleti, fraintesi o trattati solo a metà.

Serve più ascolto, serve più tempo e comprensione da parte dei medici e dei terapeuti, serve più empatia da parte delle persone che ci stanno intorno.

Serve anche più consapevolezza, dentro di noi: capire che non siamo sbagliati, ma semplicemente complessi e diversi, come lo è ogni essere umano.

Francesco Morando